Un Toscanini del Popolo
Per oltre mezzo secolo sensibilizzò il popolo al culto della musica, credendo fermamente nella funzione educativa delle bande musicali. Oltre a pregevoli composizioni, rimase famosa la struggente «la marce du fazzuètte» che faceva eseguire il Venerdì Santo «drète a CCrìste muèrte». Per gli strati umili, ogni nota di essa era una lacrima. La sfida era stata lanciata: la «piazza del popolo» aveva gettato il guanto alla «piazza dei nobili» e le due fazioni erano già a faccia a faccia per il confronto. Pur rifacendosi all’anno 1895, la tenzone aveva tutto il sapore di un episodio che sarebbe potuto accadere un secolo prima. Che cosa era avvenuto? Un caso analogo a quello occorso il 1901, con la «Cavalleria Rusticana» di P. Mascagni, rappresentata al «Teatro Piccinni» in presenza dell’Autore. Questa volta era Puccini di turno, con la sua «Manon Lescaut». Il teatro era «esauritissimo», anche se non tutti potevano permettersi l’acquisto di un biglietto d’ingresso. Ed ecco «Pupe de ZZùcchere» scendere in campo con il suo complesso bandistico, per non privare i diseredati ed i sostenitori della melodia pucciniana! Annoscia era prevenuto contro il Teatro, per rivalità artistica e per vecchi dissapori. Sorretto dal popolo, egli si sentiva eletto a rappresentarlo e, quella sera, aveva cercato lo scontro, da impavido gladiatore che non teme di scendere nell’arena per combattere. Sulla cassa armonica erano pronti i sonatori. Tutti avevano il viso rasato e qualcuno si era fatto stirare perfino i pantaloni. Un mare di folla li osservava, mentre s’incrociavano i suoni caratteristici degli strumenti per le prove individuali. Si attendeva il maestro, fra un commento e l’altro, non senza dare un’occhiata ostile al teatro illuminato. «Pupe de ZZùcchere», prelevato da casa sua ed attorniato dal solito gruppo di «cortigiani», si avviò verso il Corso. Sembrava un condottiero amato, per il quale i soldati, ad un cenno, non avrebbero esitato a immolare la vita. Il suo prestigio era grande. Ma chi credeva di essere? Napoleone? Nossignori. Egli era «il re della bacchetta» per il popolo barese e filava diritto, più autoritario, più nobile, con grande naturalezza, pur imprigionato in un alto e aristocratico colletto duro e in un attillato «stiffelius». Questo sovrano che, per corona, portava una lobbia inglese, avanzava con i suoi autoritari baffi, dando alla persona l’ultimo tocco di personaggio umbertino, che aveva calcato da «stregone» la scena musicale cittadina. Il piccolo corteo uscì dal Giardino Garibaldi e si avviò verso Piazza Prefettura. Man mano s’ingrossava e molti si fermavano sul marciapiede per osservare il maestro. Più di uno si toglieva il cappello, salutando: «Buonggiòrne maièstre»; ma egli tirava diritto, senza scomporsi. Ma anche i re rispondono alla folla, perbacco! Annoscia no! Egli non è un re qualunque, egli è «Pupe de ZZùcchere». È il Toscanini della gente semplice. Non parla. Il suo eloquio sta nel silenzio, nei gesti sobri. È più introverso che estroverso. Anche nei finali maestosi dei pezzi eseguiti egli non si scomponeva, era solenne, contenendosi. Bastava un’occhiata. Con un battere di ciglia diceva tutto. I suoi sonatori ed i suoi ammiratori lo capivano. E qui era il suo fascino, il suo ascendente, il suo regale incedere. Un «mago», non c’era dubbio. Gli antagonisti popolari dell’aristocrazia elessero a «tiranno» Annoscia plebiscitariamente. Proseguì il cammino. Sembrava la testa di una cometa che attraversa il cielo con la coda luminosa. Giunto all’altezza del monumento a Piccinni, girò appena il capo e fece un cenno con la mano portandola al cappello, in segno di rispetto verso il grande barese. Lo aveva sempre difeso strenuamente ed aveva eseguito sinfonie e pezzi staccati del musicista in occasione dell’inaugurazione del monumento. La folla in Piazza Prefettura si scostò, lo fece passare e, salito sul podio, il maestro fece qualche raccomandazione con la solita occhiata d’intesa e attaccò la sua riduzione per banda della «Manon Lescaut» di Puccini. I signori, dirimpetto, avrebbero sentito «come si esegue» Puccini. Ed iniziò.
L’esecuzione di «Manon Lescaut»
Il maestro lucchese che alloggiava all’Hotel Cavour (di fronte al monumento a Piccinni) si affacciò al balcone, incuriosendosi per l’esecuzione, mentre lottava con il ribelle bottone del colletto; gettò lo sguardo sul mare di teste che erano lì incantate e seguì, per un po’, la fluente melodia. Il finale dell’intermezzo incalzava e, mentre gli ascoltatori erano presi dal crescendo della sua musica, Puccini, trascinato dall’esecuzione dell’Annoscia, rientrò frettolosamente in camera, afferrò a volo la giacca dalla spalliera di una sedia e, seguito da un piccolo gruppo di amici sconcertati, scese le scale con la cravatta in disordine. Attraversò la piazza a fatica, facendosi largo fra la gente, mentre il finale dell’intermezzo stava per avere termine. Il Maestro si fece strada affannosamente con il suo seguito, bersagliato dai borbottii del pubblico. La gente si scostò al bisbigliato «permesso, permesso» e Puccini giunge così sotto la scaletta, mentre «Pupe de ZZùcchere» viene investito da un uragano di applausi alla fine del pezzo. Puccini sale la scaletta e si ferma davanti al maestro che, non credendo ai propri occhi, cerca di interpretare le intenzioni dell’Autore. È con il fiato sospeso e il cuore gli batte forte, ma Puccini non gli dà il tempo di pensare ad altro: gli afferra una mano e abbraccia Annoscia sotto gli occhi dei sonatori, che si asciugano la fronte. Il pubblico assiste a questa inconsueta scena e si domanda che cosa stia succedendo. Gli sguardi s’incontrano, s’interrogano. Una voce si propaga rapidamente: «È Puccini, è Puccini». E scoppia in delirio. Il maestro, trascinato da entusiasmo tutto meridionale, dimentica di essere toscano e abbraccia nuovamente Annoscia che, con i lucciconi, balbetta parole incomprensibili.
La burrascosa «Cavalleria Rusticana»
Gli echi della visita dell’amato autore della «Manon Lescaut» non si spensero tanto facilmente e, spesso, il maestro Capaldi ne ricordava i momenti più significativi, mettendo in rilievo la nobile lettera inviata da Puccini al Comune di Bari e quella privata spedita ad Annoscia. Per meglio caratterizzare il personaggio tratterò dell’episodio di cui ho accennato all’inizio, cioè di quanto si svolse alle prime turbolente rappresentazioni di «Cavalleria Rusticana». Il 20 marzo 1891 Mascagni giunse a Bari per assistere ad una di esse, il che gli procurò una ventina di chiamate al proscenio. Ma, prima e dopo il 20 marzo, il pubblico esplose contro la deputazione teatrale, che consentiva all’impresa d’ingaggiare cantanti di secondo ordine. Per alcune sere ci furono autentiche ribellioni (vedi A.G. – Il Teatro Piccinni di Bari, pag. 36) da parte dei frequentatori del Piccinni. Parallelamente, nel popolino scoppiavano clamorose manifestazioni di malcontento. Sonzogno, per tenere alto il prestigio di «Cavalleria Rusticana», non consentiva trascrizioni per banda, ma mirava soltanto allo sfruttamento teatrale. La tensione nel popolo era giunta al punto da indurre Annoscia a venire fuori allo scoperto. Incaricò alcuni suoi sonatori, che prestavano servizio nell’orchestra del «Teatro Piccinni», di procurargli lo spartito. Fece la riduzione per banda e divulgò la notizia che avrebbe eseguito «Cavalleria» dirimpetto al Teatro, a titolo di sfida. L’avvenimento era eccezionale. Giunsero persone a piedi da Carbonara, Ceglíe e da località viciniori, con traini ed altri mezzi. Bari era in subbuglio. Si parlava di Cavalleria dappertutto. Cavalleria, Cavalleria, Cavalleria. Non credo che altra opera abbia provocato tanto clamore ed interesse come Cavalleria Rusticana. Gli esercenti chiusero le loro botteghe, i privati le loro case, per ritrovarsi al Corso, allo scopo di gustare il capolavoro mascagnano eseguito da «Pupe de ZZùcchere»; il che avvenne con un mare di folla eccitata, mai vista prima. Così mi riferivano mia madre e una zia, quasi centenaria, di mia moglie, madre del M° Gioacchino Ligonzo. Le autorità lasciarono correre e Mascagni se la rideva sotto i baffi, come tacito assenso. Ma, non considerando questi gesti così clamorosi, in effetti chi era Enrico Annoscia? Era figlio d’arte, essendo nato a Bari il 29-6-1854, con i nomi di Enrico e Nicola, dal «musicante» Saverio Annoscia di Enrico. Se per leggere e scrivere prese le prime lezioni da un ex frate abitante dirimpetto alla chiesa di S. Domenico, dal genitore imparò a suonare il clarinetto.
Le nozze del maestro
Avendo dimostrato una notevole sensibilità per la musica, alcuni familiari mi riferiscono che l’Annoscia si recò a Bologna a studiare contrappunto ed armonia presso quel Conservatorio, sotto la direzione di Busi. Poi passò a Napoli, studiando con il ferratissimo D’Arienzo e perfezionando così le sue doti musicali. Rientrato a Bari, esercitò la professione, organizzando un complesso bandistico ed esibendosi anche da solista. L’l1-2-1877, al Piccinni, suonò al pianoforte una fantasia de «I Vespri Siciliani» e, come clarinettista, un concerto il 23 novembre del 1879 (v. «Il Teatro Piccinni» di A.G. nn. 18 e 22). Nel 1878 aveva già un complesso bandistico che, nello stesso anno, eseguì, insieme con altre undici bande e quattro fanfare, un suo inno, composto per la venuta a Bari dei sovrani Umberto e Margherita. Il 10 maggio 1885, per l’inaugurazione del monumento a Piccinni, «Pupe de ZZùcchere» diresse, oltre alle esecuzioni delle bande del 57° e 58° Fanteria, pezzi piccinniani e, la sera, nel «Teatro Piccinni», tenne a battesimo la sua sinfonia «A Piccinni». Nello stesso teatro, il 26 gennaio 1886 diresse «La Forza del Destino», il 7 febbraio successivo il «Rigoletto», il 15 marzo 1889 «Il Barbiere di Siviglia», eseguendo, altresì, una sua sinfonia, che fu bissata «a furor di popolo». L’11 ottobre 1889 diresse un concerto di composizioni di Van Westerhout, il 6 marzo 1902 «Rigoletto» e il 2 luglio successivo «Histoire d’un Pierrot» di Costa (v. Il Teatro Piccinni, op. c.). Nel gennaio del 1891 il sindaco Bottalico fuse la «Banda Popolare» con quella di Annoscia, municipalizzando il complesso bandistico e sovvenzionandolo con 11.000 lire annue. L’Annoscia si portò a Napoli, dove suonò nella «Galleria Umberto» per il «Caffè Gambrinus» ottenendo successo di pubblico e di critica e, nello stesso tempo, scrisse un «Omaggio» al principe ereditario, che apprezzò la composizione eseguita dalla banda barese. Questa venne premiata con 300 lire e l’Annoscia con una spilla con pietre di zaffiro e brillanti, cosa che si ripetette in meglio nel 1896, a Bari, in occasione dell’abiura di Elena di Montenegro in San Nicola, dove venne cantato un suo «Te Deum» con grande orchestra e coro. Altrettanto, più polsini con brillanti, ricevette da Guglielmo II, imperatore di Germania, in occasione della sua venuta a Bari nel 1905. Diresse anche alcune esecuzioni, l’11 giugno 1911, in occasione delle Feste per il Cinquantenario dell’Unità d’Italia. Vinse varie gare bandistiche e, in una importantissima manifestazione napoletana, fu classificato secondo, dopo Caravaglios, aiutato dal «fattore campo». Al «Diana» di Milano riscosse un «successone» e, a Perugia, nel 1927, vinse un grande concorso per composizioni bandistiche. Riuscì, pertanto, a conservare il suo prestigio, pur avendo per antagonisti agguerriti complessi, come la «Banda Popolare» del maestro Giuliani, quella di Enrico Trizio, la «Presidiaria» del M° Moranzoni, poi quella di Bizzarro e, in seguito, di Rubino, quella reggimentale ed i temibili complessi musicali della regione. In considerazione del numeroso seguito, la banda di Annoscia ebbe diverse sedi: via Putignani 134 (1° decennio del secolo) e via Abate Gimma 188. (Ivi, chi scrive, conobbe Di Matteo, il medico degli strumenti. Aveva il suo laboratorio in via Nicolai, dirimpetto alle Poste e, oggi, in via Garruba angolo via Sagarriga Visconti). Il maestro Annoscia sposò il 30-12-1911, Angela Sacchetti, in casa della sposa in via Sparano, nel fabbricato adiacente all’attuale sede dell’Upim. In tale occasione i ladri «visitarono» il suo appartamento da scapolo e trafugarono tutti i cimeli, i doni e i gioielli ricevuti da sovrani o in premio. I simpatizzanti attribuirono l’ingrato gesto a qualcuno del campo avverso.
Il maestro Annoscia ebbe due figli, una femmina e un maschio, il dott. Saverio, stimato commercialista, entrambi residenti a Roma. In effetti, «Pupe de ZZùcchere» fu la «balia» musicale del popolo, che venne condotto per mano ad amare un’arte della quale gli italiani sono stati maestri, con i pugliesi in testa. Dove egli suonava, riviveva l’anima musicale barese e il popolo gli fu grato, venerandolo con affettuoso fanatismo, anche perché fu il suo educatore al culto della musica. Morì il 18-12-1936, lasciando un vuoto sulla scena dell’arte musicale della città. Forgiando e affinando il gusto e l’orecchio delle masse, consentì che queste potessero maggiormente migliorarli, per accedere ad espressioni artistiche di livello superiore. E, così facendo, dimostrò concretamente di credere fermamente nella funzione educativa della banda, tesa all’ingentilimento dell’animo popolare. Cosa che si notò il giorno del funerale. I numerosi estimatori ne rievocavano la figura, i successi e le battaglie, esaltandone le doti di musicista e di affascinatore di folle. Non pochi dei suoi seguaci avevano le lacrime agli occhi, come se nell’aria echeggiassero le note di una sua marcia funebre, che faceva eseguire il venerdì santo, «drète a CCriste muèrte». Ogni nota di essa era una lacrima del popolino credente, che volle chiamarla «la marce du fazzuétte». Si può ben capire quale solco egli abbia lasciato nel cuore dei suoi concittadini e, per questo, non scomparirà mai dalla storia di Bari.
Una strada gli verrà dedicata dal benemerito e sensibile «Ufficio di Toponomastica» del nostro Comune, oggi restituito alla sua vitale funzione dall’opera appassionata del dott. Michele Tatulli e del rag. Michele Montedoro, al quale vorremmo suggerire: Via Enrico Annoscia, «Pupe de ZZùcchere».
Alfredo Giovine (riproduzione riservata)