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Tradizioni popolari baresi

Il Cavalier Turchino

Trecento e sessantacinque giorni
Compisce un anno.
In dèsta mi viene un mal penziero
Che a poco a poco mi vado consumando.
Sendo una voce nel mio palazzo altiero.
Io sono la morte che viene a vigilarti.
Sai che è scorso il tempo, cavaliere?
Morte, megglio che qui non più stare.
Vuoi che comando qualche servo,
E ti faccio prendere con un bastone?
Morte, vai a caccia
A li faggiani e alle quagglie?
Morte, si fa carnevale.
Facciamo una bella mascherata
E ciò che le donne restono sparite?
Oh cavalier turchino, tu sei impazzito?
Non conosci tu che sei dannato?
Volta verso Dio il cuor pentito!
Ahimè! il sangue mi sento ghiacciare.
Padre Salvatore, padre clemente,
Io mi confesso e dico tutti i miei peccati.
A quell’ora del mio nascimento.
A mia madre tirai una costata.
A mio padre fui sempre disubbidiente.
Ai poveri non ho mai fatto carità.
Ho fatto sempre della ursura. (sic).
Pure una donna chiamata cumarella,
Pure con quella stavo cecate.
Vieni morte, gravemente col falgione,
Per penitenza dei miei peccati.
(Informatrice: Angela Lopez – Versione inedita)
La poesia è stata trascritta nel modo con il quale mi è stata recitata.
Vedi: Storia del cavalier Turchino, Napoli, presso Avallone, 1849; Storia del cavalier Turchino, in Lucca, s.a. (Todi); Storia del cavalier Turchino, Firenze, Tipografia Salani, 1887; Catalogo Murray, I, pag. 156; Storia del cavalier Turchino flagello de’ poveri, Firenze, Salani, 1911; ETTORE d’AVANZO: Un avanzo di sacra rappresentazione in Sant’Agata de’ Goti, Benevento, Tip. Coop.s.a. (1926); L. SORRENTO: Folklore e Dialetti d’Italia, Aevum, 1927, p. 118; G. GIANNINI: Le arti e le tradizioni popolari d’Italia, Udine I.L.A., 1938, vol. 1, pag. 131.

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