Centrostudibaresi.it

Civiltà musicale pugliese

Licia Albanese

Felicia Albanese è nata a Bari il 23.7.1909. Il padre, noto rappresentante di generi alimentari, volle che la figlia, dai 4 ai 7 anni di età, frequentasse le scuole dirette da suore. Dopo di che l’Albanese studiò nella scuola pubblica, senza trascurare di prendere qualche lezione di piano e danza perché la bimba aspirava a diventare ballerina. A 12 anni, nella famiglia, era considerata un membro senza talento perché i tre fratelli e le altre due sorelle eccellevano nel suonare qualche strumento oppure nel cantare. Un giorno, mentre la maestra di canto Rosetta Di Leone faceva eseguire dei vocalizzi alla sorella maggiore, la grande speranza della famiglia, Licia fece sentire anche i suoi eseguiti con limpidezza. La maestra rimase piacevolmente sorpresa e le disse affettuosamente: Perché non studi canto? Sai che hai una splendida voce?

Licia si schernì e pensò a un elogio di circostanza, come si fanno alle fanciulle per renderle felici. Ma la maestra insistè e la preparò per cantare in una festa familiare in occasione del compleanno del padre. Il giorno della festa Licia fu accolta da applausi e il genitore festeggiato, sorpreso da tanta bravura, volle che la figlia si perfezionasse per intraprendere la carriera di cantante. Infatti studiò ancora un anno conla Di Leonee in seguito prese lezioni da un ex tenore lirico che viveva a Bari: il maestro De Rosa.

Papà Albanese, però, non ebbe modo di gioire dell’affermazione della figlia perché morì quando ella aveva 17 anni; ma si fece promettere dalla ragazza che non avrebbe mai abbandonato gli studi di canto. Infatti la giovane proseguì i suoi studi sotto la direzione dell’ex grande cantante, signora Giuseppina Baldassarre Tedeschi, che le insegnò canto e arte scenica, portando la formazione artistica della sua allieva a un livello notevole. Quando e in quale opera abbia mosso i primi passi non mi è stato possibile accertare con esattezza. Ralph Land nell’articolo ‘Licia Albanese’, pubblicato nel gennaio 1957, in The Apostle, dice: Il suo primo debutto scenico avvenne quasi per puro caso. Ella era andata a Milano per assistere con un amico ad una recita di Madama Butterfly  alla Scala. Per volere del destino accadde che la prima donna, dopo il primo atto,si sentì male. Il direttore del Teatro, preoccupato, cercò di trovare una sostituta, e si calmò solo quando gli fu detto che in sala c’era una giovanissima cantante che conosceva la parte, e che si chiamava Albanese “. “Che venga questa Albanese”, gridò il direttore. L’opera proseguì con grande successo, e da allora Madama Butterfly divenne la più grande e fortunata interpretazione dell’Albanese. Circa un anno dopo, nel 1935, Licia partecipò ad un concorso nazionale per  “La più bella voce”, indetto dal governo italiano, e dopo quattro lunghe giornate di selezioni, fra 300 candidate venute da tutte le regioni, ella fu la prescelta, ricevendo una medaglia d’oro. Da allora fu richiesta per recite in tutta Italia e la sua carriera era ormai assicurata. Successivamente ella fece il suo debutto ufficiale al Teatro Reale di Parma con Butterfly, quindi cantò alla Scala di Milano, al Covent Garden di Londra, in Spagna, Parigi ed infine in America”.

Tutto questo, però, contrasta con quanto si rileva a pag. 65 di “Licia Albanese Club”, un bel libretto che illustra le sfolgoranti tappe della celebre cantante.

E cioè: che si era sempre ritenuto il suo debutto in Andrea Chénier, ma che invece “avvenne in Pagliacci”. Per la verità storica mi auguro che la somma cantante intervenga per chiarire definitivamente quale delle due versioni sia quella esatta.

È molto probabile, secondo le mie ricerche, che l’Albanese abbia esordito nella prima delle 5 rappresentazioni di Madama Butterfly, date al Teatro Regio di Parma dal 4.1.1934. E qui l’errore di Ralph Land è evidente e lo ripete quando afferma che Licia partecipò al Concorso Nazionale nel 1935, cosa che si verificò prima.

Ecco parte di quanto apparve sul Corriere Emiliano del 5-1-1934, il giorno dopo il debutto della Barese: “Sul palcoscenico il maggior successo toccò alla protagonista soprano Licia Albanese. Questa giovanissima artista, esordiente, recente vincitrice del Concorso nazionale di canto di Bologna, ha vinto una difficile prova, in misura superiore ad ogni più lusinghiera aspettativa. La pronuncia non è sempre perfetta, l’emissione delle note acute (essa canta la parte in tono) non tutte impeccabili, ma – specialmente nel registro centrale – la voce è dolce, calda, suadente, ricca di smalto.

Essa possiede inoltre ciò che non si insegna: il cuore, il temperamento e una calda sensibilità musicale e drammatica che le consente di mantenere tra voce e intenzione scenica, un rapporto costante e preciso: eloquenza di gesto e di note”.

In seguito l’Albanese cantò alla Scala il 9 marzo 1935 nella parte di Lauretta del Gianni Schicchi, succedendo all’Oltrabella che aveva cantato nella recita inaugurale, data il 7 marzo alle 15,30 per i bambini. Nel gennaio del 1937 cantò nella parte di Suzel ne L’Amico Fritz, succedendo alla Favero, che cantò il 14 dello stesso mese nella stessa opera. Poi passò a cantare al Covent Garden di Londra il 10 maggio del 1937, sostenendo la parte di Liù nella Turandot e il 31 maggio quella di Alice nel Falstaff. Il 19 gennaio del 1938 venne applaudita nuovamente alla Scala nelle vesti di Micaela nella Carmen e l’8 marzo in Anna nella Loreley. Il 20 dicembre 1939 è Suzel de L’Amico Fritz e poi Mimì de La Bohème, applaudita, il 28 dicembre 1939.

Nel 1940 l’Albanese s’imbarca per l’America per cantare al Metropolitan. Durante il viaggio, a bordo del Conte di Savoia, stringe amicizia con Giuseppe De Luca e sua moglie. Il celebre baritono, che l’aveva ascoltata, la paragonò a Lucrezia Bori, eccelsa interprete di Madama Butterfly. A distanza di molti anni la moglie del De Luca, in più di un’occasione, ha dichiarato: “Licia Albanese, oggi come ieri, è semplice, umana e pura. Mio marito ed io siamo molto affezionati a lei per queste qualità”. Sono tali qualità umane che incantano il futuro marito, conosciuto in circostanze romantiche che vale la pena di ricordare.

Durante la sua permanenza a Milano, l’Albanese ebbe agio di conoscere un’amica barese di una sua cugina dal cognome Gimma. La cantante ela Gimmaerano state inconsapevoli vicine di casa durante la loro fanciullezza barese. La Gimma, sapendo che l’Albanese doveva recarsi a New York per cantare e non avendo ivi conoscenti, per difenderla dalle insidie che riserbano sempre le grandi città, promise di avvertire il fratello, agente di borsa di Wall Street, dell’arrivo dell’amica e fornì a Licia l’indirizzo e il numero di telefono del congiunto. Giunta a New York, l’Albanese si precipitò al telefono e chiamò il Gimma che era nel suo ufficio. A questi riferì quanto sappiamo e gli domandò se avesse ricevuto la lettera. “No”, rispose l’agente di borsa, “ma fà lo stesso. Sarò presto da lei”. E così fu. Infatti, con evidente piacere ed entusiasmo, il Gimma si premurò di far conoscere sùbito i più caratteristici posti di New York dei quali l’Albanese rimase colpita, ma del Ponte Washington ricavò un’impressione incancellabile. Per questa ragione affettiva ad una parete di casa sua spicca un magnifico quadro riproducente questo miracolo dell’ingegneria moderna, e ogni volta che il discorso cade sul Ponte di Washington gli occhi dell’Albanese brillano di luce viva. Ella, infatti, identificò l’America nel ponte: grandiosità, semplicità, pulizia.

Il 9 febbraio del 1940 debutta al Metropolitan in Madama Butterfly, diretta da Papi e coadiuvata da Browning (Suzuki), Stellman (Pinkerton), Kulmann (B. F. Pinkerton) ed altri. Cento e tre recite di opere diverse risultavano date fino al 1957 al Metropolitan, dopo la prima trionfale di Butterfly, innanzi detta. A battere le mani e gridare il proprio entusiasmo all’indirizzo della celebre cantante, spiccava fra tutti l’agente di borsa Giuseppe Gimma, che invaghito e travolto da una crescente passione, sposò la dolce Licia della quale dice: “E’ una brava cuoca. Essa ha la ricetta di come mettere il vino bianco nel risotto ai frutti di mare ed i funghi nelle uova al tegamino. Datele una casseruola, una cipolla, un mazzo di spezie ed anche qui ella si rivela un’artista”. Sarebbe troppo lungo soffermarsi sulla lunga e splendente carriera di Licia Albanese e non basterebbero centinaia e centinaia di pagine. Basterà accennare ad alcuni rilevanti episodi che servono a delineare il singolare personaggio. Uno di questi bisogna identificarlo nella scelta che cadde su Lei quando venne in Italia nel 1937 per sostituire scenicamente un rinomato soprano dalla corporatura robusta nel film “La vita di Verdi”. Ammirata da Arturo Toscanini, incise con questi La Traviata e fu prescelta per cantare in alcune opere, non esclusa la recita commemorativa di Bohème nel 50° anniversario della prima recita di tale opera. In precedenza aveva inciso a Milano perla R.C.A. la stessa opera con il grande Beniamino Gigli oltre ad altre numerose incisioni. L’Albanese ha preso parte ad oltre 50 stagioni liriche in Italia, Spagna, Francia, Inghilterra e America.

Fanno parte del suo repertorio: Traviata, Bohème, Tosca, Faust, Manon Lescaut, Manon, Pagliacci, Carmen, Otello, Turandot, I racconti di Hoffmann, Elisir d’Amore, Don Pasquale, Don Giovanni, Le Nozze di Figaro, Gianni Schicchi, Suor Angelica, Tabarro, Mefistofele, Madama Butterfly, L’Heure Espagnole, Andrea Chénier, Adriana Lecouvreur, Aida, L’Africana. Ma non è tutto.

Ella fu prescelta, prima che scoppiasse l’ultima guerra, per cantare alla presenza di Vittorio Emanuele III a Palazzo Reale e fu l’unica cantante invitata ad inaugurarela Stazione RadioVaticana e quindi decorata dal Papa per la splendida esecuzione.

E l’insuperato primato consistente in sei anni ininterrotti alla Radio di New York, nell’ “Ora settimanale del bel canto”, le consentì di far parte della prima trasmissione televisiva di opera lirica dal Metropolitan. Nel 1945 divenne cittadina americana e dal 1950, con lodevole umiltà, cantò con gli 80 coristi della Cattedrale di San Patrizio di New York per beneficenza, a favore del Centro di Carità Cattolica. Per questo si meritò la stima e l’amicizia del Cardinale Spellman senza aver mai mancato di contribuire con la sua voce ad ogni iniziativa di carità. Ha cantato perciò fra i soldati in campi di prigionia, fra ammalati, fra i vecchi degli ospizi e nel 1953 l’assegnazione della stella al merito, come migliore mamma cattolica dell’anno, la rese felice. Al Petruzzelli di Bari Licia Albanese cantò in Manon di Massenet, il 29 e 31 dicembre del 1934 e il 3, 6 e 9 gennaio 1935; e nella Bohème il 12, 26 e 30 gennaio del 1935. Al Piccinni invece si esibì in Madama Butterfly il 26 e 29 dicembre 1956 e 1 gennaio 1957, in Traviata il 12, 15 e 26 gennaio 1957. Nel marzo del 1964, richiamata dalla nostalgia, tornò a Bari per far conoscere a Peppino, il figlio undicenne, la città che aveva dato i natali alla propria mamma e nella quale si parla quel dialetto barese, lingua ufficiale dei tre Gimma – Albanese a New York. A Bari, l’Albanese in un’intervista fece rilevare le sue predilezioni per Madama Butterfly (circa trecento edizioni) e per la produzione pucciniana. Ha fatto epoca il caso del 1963, quando al Metropolitan venne meno al momento di andare in iscena Renata Tebaldi, aggredita da un improvviso male alla gola. Nonostante il breve preavviso, la cantante si portò al Teatro e riportò uno strepitoso successo in Adriana Lecouvreur. “Detti una mia interpretazione al personaggio”, dice a tale proposito l’Albanese, “perché lo studio sempre bene. Non capisco i cantanti che badano solo alla voce, si preoccupano, cantano quasi per sé stessi. Bisogna cantare per il pubblico, con generosità, ma anche con equilibrio. La voce dev’essere adeguata al personaggio, è vero, ma la cosa più importante è l’anima. Non si può dire a uno ‘ti amo’ o ‘ ti odio’, così come si direbbe ‘buona sera’, badando solo a far sentire che c’è la voce. No. Bisogna sentire quello che si dice, vivere intensamente, soffrire. Io sento che quando canto Traviata o Bohème  o Madama Butterfly, il pubblico si soffia il naso e vengono in camerino con le lacrime agli occhi”. E infatti nel concerto tenuto a Bari il 17 marzo del 1964 la folla che assisteva stipata nel teatro gremito, esplose in acclamazioni e applausi che Licia Albanese non dimenticherà mai.

Franco Chieco ne La Gazzetta del Mezzogiorno del 18 marzo, a tale proposito ebbe a dire: “Ieri Licia Albanese ha voluto presentarsi al suo pubblico con un programma squisitamente cameristico, quasi a voler dimostrare come anche al di fuori della teatralità, ella possegga quelle qualità interpretative che sono raramente riscontrabili in chi usualmente pratica solo il genere operistico. E’ stata indubbiamente un’altissima prova di sensibilità che trova riscontro anzitutto nella scelta delle musiche, raggruppate in tre distinte fisionomie; la prima parte interamente dedicata a compositori italiani del sec. XIX e musicisti italiani che, partendo da Piccinni, tramite Rossini e Bellini, terminava con Verdi.

Sin dai primi brani, Licia Albanese ha conquistato l’uditorio. Nella molteplice varietà degli atteggiamenti affioranti dalle deliziose pagine di Scarlatti, Gasperini, Bassani, Cavalli, Lotti, Sartorio e Paisiello, con grande intuito interpretativo e stupenda tecnica vocale ha colto tutte le delicate sfumature timbriche, tutti i particolari espressivi, sentimentali, graziosi e sottilmente burleschi. Intensa passionalità ha poi trasfuso nelle pagine romantiche di Fourdrain, Szulc, Chaminade, Liszt, Rossini, Bellini e Verdi, attraverso le quali la limpida purezza del canto si è rivelata in tutta la bellezza e l’opulenza timbrica. Ma particolarmente gradite, com’era ovvio, sono state le suggestive arie di Paisiello e Piccinni (Il mio ben e Oh notte) rese con soavità di accenti e luminosa trasparenza. Una manifestazione, dunque – al di là del significato emotivo – di eccezionale rilievo musicale. Un saggio di bel canto, ma soprattutto un saggio di stile: il che dimostra più che sufficientemente quali risultati possa un grande cantante ricavare dalla produzione cameristica, purtroppo solitamente trascurata dai ‘grandi’ della ribalta lirica. Sembra persino incredibile come la vasta sala del Petruzzelli, abituata a raccogliere i generosi “do di petto”, sia risultata particolarmente idonea alla esecuzione di brani che hanno la loro sede abituale in sale da concerto di proporzioni ben più limitate. Per i fedelissimi dell’opera lirica, comunque, Licia Albanese ha riservato due dei quattro bis: due romanze pucciniane (“Un bel dì vedremo” dalla Butterfly e “Senza mamma” da Suor Angelica). E ne avrebbe cantate ancora, se avesse voluto accontentare tutti.”.

E l’Albanese, contrariamente a come usa fare, terminato il concerto non prese il jet per ritornare a casa per poter fronteggiare i suoi numerosi impegni artistici; si fermò a Bari e in compagnia del suo Peppino fece un lungo giro in Puglia per far conoscere al suo adorato figliuolo l’indimenticata e antica terra dei padri.

riproduzione riservata – 1968

 

BIBLIOGRAFIA

GIOVINE A. –  Calendario Storico della Città di Bari, Bari, A. T. P. B., 1965.

KOLODIN I. – The Story of the Metropolitan Opera, New York, 1953, pag. 491.

LAURI-VOLPI G. – Voci parallele, Milano, Garzanti, 1955, pag. 450.

M. J. M. – The Heart of  Puccini: in OPERA NEWS, N. Y. ,10.2.1958, pag. 8.

McLOUGHLIN J. E. – Licia Albanese music club, New York, s. e., 1958.

RALPH – LAND – Licia Albanese, in “THE APOSTLE”, New York, s. e., 1957.

ROSENTHAL S. – Two centuries of Opera at C. Garden, London, Putnam, 1958.

SELTSAM W. H. – Metropolitan Opera Annals, N. Y., Wilson Colp., 1947. I e II.

 

 

 

Altri siti utili

Cerca nel sito