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Civiltà musicale pugliese

Millico Vito Giuseppe

Illustre artista pugliese del ’700, anch’esso oggi dimenticato, è stato Vito Giuseppe Millico, sopranista, didatta e compositore. Tralascio quanto è possibile apprendere dalle varie enciclopedie e mi soffermo a rettificare alcune notizie errate per lumeggiare una parte dei lati oscuri della sua vita. Per il Bertini, il Millico nacque a Milano nel 1739 (Dizionario storico critico degli scrittori di musica ecc., Palermo, Tip. Reale di Guerra, 1815) e per R. Aloys Mooser, “Prés de Naples en 1730 ou 1739”. Schmidl, Larousse, Florimo, Fetis, Enciclopedia Ricordi, Dassori, Manferrari, ecc. lo dànno nato a Terlizzi, ma la data di nascita è inesatta. Nessuno, però, dimostra di conoscere la prima parte della vita di tale importante personaggio della storia della musica. Il Mil(1)ico (con una ‘elle’, la forma Millico si consolidò più tardi) nacque, invece, il 19 gennaio 1737, a Terlizzi, da genitori di modeste condizioni, quali erano Francesco e Angela Domenica De Chirico (Vol. B. 5 – II 40 a t della Parrocchia di San Michele) i suoi nomi erano: Vito Giuseppe + Sebastiano, Donato, Antonio. Di sei figli, fu l’unico che si dedicò alla musica. A che anno risalgono le prime notizie sul Millico? La maggior parte dei biografi non esita a indicare il 1769, l’anno delle prime segnalazioni artistiche, ma nessuno ha notizie del periodo anteriore a tale anno. Anche Bellucci La Salandra, al quale si deve un lavoro serio (vedi: V. G. Millico, Archivio Storico Pugliese, anno 1950, fasc. III e IV), sprona gli studiosi a migliori ricerche. Il Bellucci, infatti, nel pregevolissimo lavoro citato, scrive testualmente: “La più antica notizia che possediamo intorno al Nostro è dell’anno 1769. In quell’anno il Grossatesta (…) propose per le due opere d’inverno al Teatro San Carlo (l’ Adriano del Monza e la Didone dell’Insanguine), il musico Millico, detto il Moscovita. È dal libretto dell’ Adriano del Monza che si rileva il soprannome del Nostro (Bibl. Angelica di Roma, Raccolta Santangelo). “(…) Questa notizia”, prosegue il Bellucci, “è di grande importanza perché il soprannome di Moscovita chiaramente ci indica che la prima parte della carriera di questo squisito cantore si sia svolta in Russia, e noi non ne avremmo saputo mai nulla, senza tale preziosa indicazione”. Infatti la congettura del Bellucci è centrata, ma finisce qui, mentre altri biografi dimostrano di ignorare completamente il soggiorno in Russia del Terlizzese. In possesso del libretto Le Feste di Apollo, musicato dal Gluck, celebrate sul Teatro di Corte di Parma nell’agosto del 1769 per le nozze fra Ferdinando e Maria Amalia, ho rilevato nel personaggio Anfrisio, il sig. Giuseppe Millico, detto il Moscovita. E, mentre facevo le stesse considerazioni del Bellucci, tentai di venire a capo di più ampie notizie, poco più di quante potetti fornire alla redazione editoriale di un’opera informativa di carattere musicale. Mi resi conto con certezza che il soprannome di Moscovita, portato dal Millico, derivava dal fatto di aver soggiornato in Moscovia (Russia), come si diceva allora e non da Mosca come si potrebbe facilmente presumere. Infatti egli risiedette alla Corte di Pietroburgo, dal 1758 al 1765, (Moscovia fu un Ducato che cessò di esistere nel 1480 quando riuscì a unificare tutto il paese trasformandosi nel regno russo). Fu così che alcuni reduci dalla Russia, per ragioni di prestigio, adottavano il soprannome di “Moscovita”. Ad esempio, il London Daily Post del 26 febbraio 1739, nell’annunziare l’arrivo al Covent Garden di Londra, della Compagnia diretta dal m° Pescetti, menziona fra gli artisti la cantatrice Avoglio (Avolio) la “Moscovita” (nata Croumann o Graumann e moglie di Giuseppe Avolio) che aveva soggiornato in Russia con il marito, dal 1731 al 1738, quando Anna Ioannovna congedò parte della compagnia italiana al suo servizio. Vincenzo Manfredini, nel mese di maggio del 1770, nel rappresentare a Bologna la sua Armida si fregia come maestro di cappella della Corte di Moscovia (erra il Ricci nei ‘Teatri di Bologna’ a pag. 489, attribuendo la musica a Francesco Manfredini). Ma non tutti i ‘Moscoviti’ si fregiano di tale soprannome. Costanza Piantanida, pur essendo stata in Russia dal 1735 al 1737, preferisce farsi chiamare la ‘Posterla’.  In un annuncio del London Daily Post del 19 aprile del 1739, essa appare come ‘Busterla’ (sic) cantante di opere di Hendel”, che saranno eseguite dopo Pasqua” (F. Chrysander, G. F. Hàndel, II,453).

Ora, una volta accertato il soggiorno in Russia del Millico abbiamo molte notizie su di esso? Purtroppo, no. Esse son ben poche, ma sufficienti per formarci una idea del ruolo che egli rivestì in quel freddo paese. Perciò, quando alla Corte di Pietroburgo, durante gli ultimi anni di regno di Elisabetta Petrovna (1758 – 1761), l’opera seria (che aveva debuttato nel 1736) cedeva momentaneamente il passo all’opera buffa, anche il Millico fece la sua apparizione a corte il 1758 (debutto dell’opera buffa). Il successo che ottenne fu notevolissimo e, per la stima guadagnatasi, il Terlizzese rimase fino al 1765, anno del suo rientro al suo paese natio (in questa occasione fece il primo testamento a Terlizzi, per mano del notaio Tommaso Taralli?). Il 1760 il Millicò cantò nella parte di ‘Mirteo’ nella Semiramide riconosciuta, musica di Vincenzo Manfredini. Dal 13 dicembre del 1760 al 22 ottobre 1761, cantò nella parte di ‘Arasse’ nelle sette rappresentazioni di Siroe, libretto di Metastasio, musicato da Ermanno Federico Raupach ed il 3 giugno del 1762 il melomane Pietro III, per festeggiare solennemente la pace fra Russia e Prussia, fece rappresentare un lavoro adatto alla circostanza La Pace degli Eroi su libretto (in italiano, tedesco e russo) del poeta di corte Ludovico Lazzaroni, con musica di Vincenzo Manfredini (il libretto si trova nella Biblioteca pubblica di Leningrado; la partitura è andata persa). Nel 1764, nel rimaneggiato Carlo Magno di Manfredini, il Millico cantò nelle vesti di Rinaldo. È probabile che abbia cantato anche quando si diede per la prima volta, nel 1763, nel Nuovo Imperiale Teatro di Pietroburgo (R. Aloys Mooser, Annales de la Musique et des Musiciens en Russie au XVIII siècle. Ginevra, Mont Blanc, 1943, vol. I, pag. 309 e seg.). Gli studiosi conoscono sufficientemente la parte che il Millico ebbe come sopranista. Si sa anche parecchio sull’attività di compositore che ebbe inizio nel 1769, ma poco si conosce di lui come maestro di canto, di composizione e di clavicembalo. I risultati che ottenne il Millico, come maestro di canto, furono prodigiosi non soltanto con allievi di eccezione, ma anche con sé stesso. Infatti nella lettera dedicatoria del 15 giugno 1782, che appare nelle prime pagine della partitura La pietà d’amore (Napoli, 1782) e, data perfino in Brasile verso la fine del secolo diciottesimo (Luiz Heictor, “150 anos de Música no Brasil”, Rio de Janeiro, José Olimpio, 1956, pag. 19), egli confessa: “Ero appena uscito dal Conservatorio, quando mi accorsi della cattiva disposizione della mia voce, ne conobbi i difetti, e ne compiansi la qualità; fui abbandonato da tutti i maestri. Riflettei seriamente, e vidi, che il solo studio poteva aprirmene agevolmente la vita, onde con tutto lo spirito mi applicai all’acquisto di un mezzo per cui potessi coll’arte supplire alle mancanze della natura. Cominciai ad esercitare la mia voce, e dopo molta fatica mi riuscì di renderla alquanto sonora, presi coraggio, né mi stancai, e da contralto finalmente potetti diventare soprano, e raccoglierne tutto quel bene che forma al presente la mia perfetta tranquillità”.  Ma quanto accadde, inoltre, alla nipote di Gluck ha quasi dell’incredibile. Il celebre maestro tedesco sospese di dare le sue lezioni di canto quando si convinse che la sua allieva non sarebbe mai riuscita a cantare. Il Burney, nel “De l’état present de la musique en Allemand, ecc.”, racconta: (Gluck) “incominciò ad accompagnare sua nipote, che non ha che tredici anni, in due belle scene della sua opera Alceste. La giovinetta con una voce forte, e ben timbrata, cantò con un gusto infinito mettendo tanta animazione e molta espressione alla sua esecuzione. Dopo ne cantò anche altri di vario stile di diversi maestri, particolarmente di Traetta. Mi dissero, e ciò mi meravigliò assai, che la signorina Gluck aveva imparato a cantare solo da due anni. Aveva incominciato a prendere lezioni da suo zio che poi la fece sospendere disperando per la riuscita; in un’epoca, circa quando Millico venne a Vienna, Millico chiese a Gluck di sostituirlo, ciò che il Tedesco fece volentieri ma con una certa incredulità”. “Lo stile di esecuzione”, prosegue il Burney, “che possiede adesso è la sagacità e la penetrazione dello stesso Millico, che infondeva con il suo metodo ai suoi allievi”. Ed ora leggiamo quanto ebbe a dire il Millico sull’episodio riportato nella già nominata lettera dedicatoria del 1782: “(…) dopo otto mesi disingannai suo zio (Gluck), e dopo due anni si rese la ammirazione della Germania e della Francia, e la sarebbe stata di tutta l’Europa, se la micidiale influenza del vaiolo non avesse nell’aprile troncato i suoi giorni. Dunque l’arte, la fatica, lo studio può formare il cantante. La maniera di cantare non è che una, cioè la cognizione di muovere le passioni, ed insinuarsi nei cuori”. Sia pure in misura minore, il Millico insegnò composizione e contrappunto. Il Capotorti di Molfetta fu appunto un suo allievo in tali discipline, mentre, durante il suo soggiorno a Pietroburgo, rivestì anche la carica di maestro di clavicembalo, insegnando lo strumento al dodicenne granduca Paul Petrovich (S. A. Parochine, Memorie, San Pietroburgo, 1881, vol. II, pag. 105). Dopo la sua partenza il Millico fu sostituito da Vincenzo Manfredini. Nel 1797, il Millico diventò cieco e il 2 ottobre del 1802 morì a Napoli (libro XXI dei defunti, pag. 149 – Parrocchia Sant’Anna di Palazzo). Se si riuscirà a mettere gli occhi negli “Archivi dei teatri imperiali” (di V. P. Pogoief, A.E. Moltchanof e K.A. Petrof, San Pietroburgo, 1892 , Bibl. di Leningrado) e sul manoscritto di G. Manfredini riguardante la vita di Vincenzo Manfredini (Accademia filarmonica di Bologna), molte altre notizie poco note potrebbero affiorare. a. g. – 1968

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