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Tradizioni popolari baresi

Peculiari Caratteri dei Canti Popolari Religiosi Baresi di Francesco Babudri

Conosco i canti popolari religiosi di quasi tutte le regioni d’Italia, e dato ciò, ben si comprende con quanto interesse abbia seguito i 43 canti religiosi baresi, che formano il nuovo complesso delle tradizioni popolari di Bari, con cui l’Archivio si va arricchendo di un altro apporto di Alfredo Giovine. È un lavoro di raccolta sagace, seria ed affettuosa, per il quale il Giovine dedica tutto sé stesso. Chi non sa infatti con quanto amore si seguano ovunque, presso tutte le nazioni cupe, le raccolte e gli studi critici dei canti popolari, sia nel campo demopsicologico, sia in campo letterario? E sono canti in molteplici forme metriche, ora in strofe, ora in tono di filastrocca, ora in due soli versi, a guisa di giaculatoria, sempre con un accentuato senso di vita.  Le caratteristiche dei canti religiosi baresi presentano in primo luogo un tipo di fede ferma, sincera, ingenua e forte. È fede ingenua, non perché debba dirsi sempliciotta, bensì perché non è inquinata da male intenzioni o da sfrontatezza, come quella del fariseo della parabola di Gesù, bensì guidata dalla semplice umiltà del pubblicano della stessa divina parabola (cfr. Luc. XVIII,9-14). C’è quella spontaneità, che piace, perché la preghiera popolare scatta come una luce mai velata da nube. C’è poi la rettitudine delle invocazioni, scevre da intenti superstiziosi, se si eccettuino gli scongiuri contro i fulmini, mentre nel folklore d’altri paesi pugliesi e non pugliesi, tali scongiuri, commisti al nome di qualche Santo, sono molto più numerosi. È questo un fenomeno naturale e umano, che risale ai tempi delle antichissime civiltà orientali, per giungere alla greco-romana. In fondo, è l’uomo, che davanti alla paurosità delle manifestazioni di potenza della Natura si sente piccolo, indifeso, impotente, e ricorre quindi a chi è più potente di lui, e che può prestargli difesa: ecco pertanto il ricorso a Dio e ai Santi con particolari formule, che sono vere e proprie preghiere, meno superstiziose di quanto si crederebbe. L’oroscopo nuziale, che la fanciulla trae dalla palma, benedetta nella domenica precedente la Pasqua, è un atto, nel quale si deve riscontrare un che di simbolicamente letterario, oltreché ideologico, e anzi la sua tal quale sacralità di preghiera, soffusa da liricità palese, attrae la nostra simpatia. Il caso della formula – certamente superstiziosa – del rimedio ritenuto efficace nel cacciare i vermi dei bambini, entra nella medicina popolare e nella popolare terapia, le quali poggiano sempre sulla base della religiosità, e abbracciano pratiche di ampiezza internazionale. Un secondo aspetto dei canti popolari religiosi baresi, raccolti da Alfredo Giovine, è la confidenza che il popolo dimostra verso i Santi. C’è una reciprocità di diritto e di dovere: dovere del Santo d’essere il patrono del suo popolo, e diritto del popolo di godere del patronato del suo Santo. Anche questo è un fenomeno ideologico e psicologico riscontrabile nelle tradizioni di tutti i popoli, e che nei canti baresi rilevasi in maniera meglio pronunciata. Nei canti mariani, poi, anche il popolo barese sa essere poeta dall’anima aperta a un’effusione sentimentale delicatissima. Il canto popolare barese alla Madonna sa far sentire, com’esso derivi da una tenerezza tutta speciale, che, unita alla soavità di filiale amore a Maria di tutta la terra, vuole che anche da Bari salga alla Vergine quell’inno di amorosa glorificazione, che Maria stessa previde nel suo cantico del magnificat (Luc., I, 4654) e che il Manzoni nella strofa V del suo inno Il nome di Maria tradusse: tutte le genti / mi chiameran beata. Ne uscirono così alcuni bei medaglioni, in cui la Vergine e i Santi appaiono nei ritratti voluti dal popolo, quasi come se i versi del canto abbiano inteso comporre pastelli, alla maniera della settecentesca genialissima Rosalba Carriera. Quanto mai interessanti le strofe inneggianti a san Nicola, che in una Bari squisitamente nicolaiana, non potevano mancare. Nella loro veste di carmi, che sembrano il germe di due poemetti sacri, sulla nascita e sulla fanciullezza di san Nicola, chi li legga attentamente, sentirà aleggiare qualche cosa di patetico fra il lirico e l’epico, 1’agiografico e il narrativo, commosso sempre, entro quella vivida fiamma, che ha creato le molte e tutte bellissime leggende nicolaiane in tutta l’Europa.    Il terzo aspetto interessantissimo di questi canti religiosi baresi sta nell’immancabile e sempre forte spirito apotropaico, cioè in quel tono intenzionale, che ha il canto religioso di allontanare il male e d’invocare il bene. Questo male è il peccato, è la disgrazia, è la miseria: insomma sono tutte quelle circostanze, che affliggono l’anima e affliggono il corpo del cristiano. Ciò non è per nulla contrario alla dottrina del dogma, né alla pratica della Chiesa, se negli oremus del messale e del rituale fervono in piena luce e in piena vigoria la rimozione del male e l’invocazione del bene: se nelle litanie dei Santi c’è da prima una folta serie di preci, per chiedere l’allontanamento dei molti malanni con la preposizione latina “a, ab” e il ritornello libera nos, Domine, e per ottenere i benefici con una sequela non meno folta di suppliche, iniziantisi con la congiunzione latina ut e il ritornello te rogamus, audi nos, rivolto al Signore. E un esempio ce lo dà, tutta la sequenza mariana Ave maris stella di san Bernardo. La apotropaicità, che potrebbe sembrare anche una forma di gretto egoismo, perché a tutti piace vedere lontano il male e vicino il bene è quasi si direbbe riscattata e nobilitata dal dogma, perché rappresenta lo sgombero dato ad ogni impedimento per raggiungere la salvezza eterna, e la salvezza eterna d’ogni individuo fu il prezzo della Passione e Morte del Redentore. Ecco la grande radiosissima altezza, cui giunge il canto popolare sacro di Bari: ecco la nobiltà stupenda della raccolta compiuta da Alfredo Giovine. Ultimo aspetto di questi canti popolari religiosi baresi è il sempre vivo fiorire poetico dell’immaginazione. C’è veramente poesia, che scaturisce anche nell’anima barese da un movimento di fantasia ferace, talché le immagini si susseguono con imperiosa immediatezza. C’è poi qualche cosa, che sembra strana addirittura. Infatti sotto l’impero attrattivo della rima, alla quale il popolo non sa rinunciare mai, l’anonimo poeta popolare si sente soggiogato, e allora sulla scia di quella data rima il canto balza via dal tema assunto e passa a continuare, a guisa di filastrocca, con altre immagini, che non hanno nulla di connessione con il canto stesso. Ad esempio nel canto Ci iè e ci nonn-è, l’inizio è un ricordo della Passione di Gesù, onde nei primi otto versi si ha il preludio di un quadro della via Crucis: ma a un tratto, al suono di u campanìidde, appare la Madonna seguìta da un quadretto suggestivo, che non ha niente, a che fare con la via Crucis:

E la sègge chiène de rose, / addò s’assìte sanda Ròse: / sanda Ròse a lu ciardìne, / scève adacquànne u pedresìne, / e Gesù ca lu chiandò, / tanda gràzzie se pegghiò.

È un gioco di rime e di immagini, che appaiono e sono, balzane, ma che tuttavia riescono ad essere novelli spunti di vera poesia, come sprazzi d’una pittura astratta. E qui mi fermo, non senza ribadire una verità, d’altronde conosciutissima, che cioè il popolo è sempre e dovunque buon poeta.  E ne fan prova anche i canti popolari religiosi baresi, raccolti e pubblicati da Alfredo Giovine. Vi si confessa il popolo per quello che è: un poeta, al quale sta bene accostare la massima del grande Wolfango Goethe: “Tutto ciò che è lirica deve in complesso essere molto ragionevole, ma in particolare un poco irragionevole”; possiamo anzi ammettere, che nella lirica popolare l’irragionevole non sta mai male, perché Giacomo Leopardi nel suo Zibaldone avverte, che “se il poeta non può illudere, non è più poeta; e una poesia ragionevole è lo stesso che dire una bestia ragionevole”. Ecco perché nel popolo, ch’è vero poeta, l’irragionevole diventa un nuovo elemento di poesia, come qua e là ci confermano questi bei canti popolari religiosi di Bari. riproduzione riservata – 1965

 

 

 

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