Ho voluto soprassedere alla preparazione di altri miei lavori programmati prima di questo, per dar corso all’allestimento dei canti popolari religiosi baresi, acciocché questi potessero meglio servire di guida e d’informazione esatta ai folcloristi.
Dico la parola grossa guida senza ingiustificato motivo, perché nelle raccolte dei canti pugliesi, che si riferiscono a Bari in particolare, ho trovato molto materiale sospetto o falso, quando non era lacunoso. Per questo non ho frapposto indugi e ho dato corso alla pubblicazione di questo tesoro di canti popolari religiosi, che sono tesoro perché autentici, veramente popolari, creati realmente nei vicoli e nelle case povere, con un linguaggio tutto particolare e con immagini del tutto impensate all’uomo di cultura. È un modo tutto proprio di concepire il Divino, di adorarlo e di rivolgersi ad esso secondo il proprio modo di sentire, indirizzando l’invocazione e l’adorazione spoglie da ogni forma rituale e convenzionale o da subìte influenze estranee al proprio mondo intimo. In chiesa il popolo sentirà la maestosa solennità e la deferente austerità, che impone il luogo; ma con i canti creati da esso, il Divino non gli sembrerà che lo sovrasti con il suo immenso mistero, ma lo sentirà vicino a sé più familiare, come se Gesù e i Santi non fossero divinità e santità, ma suoi amici consolatori e protettori. Con il suo linguaggio particolare, la popolana sente riempirsi l’anima di dolcezza meglio dei versi compassati e studiati. Questi ultimi non le danno il calore di comunicare con quella spontaneità che l’artificio esclude. I canti popolari religiosi baresi, (come quelli d’Italia), nati per opera spontanea di popolo, che si differenziano da quelli di chiesa, pur vivendo non all’infuori ma anzi accanto ad essa, come dice il Toschi nella pregevole opera non mai eccessivamente lodata La Poesia Popolare Religiosa in Italia – Firenze, Olschki, 1935, pag. 1, sono fra i più belli di tutta la produzione barese di ogni tipo. È creazione spontanea, sia per i versi, che per la musica, che dimostra che questi umili sono degni discendenti del loro grande Niccolò Piccinni per lo slancio d’amore e per la sensibilità musicale, anche se qui si debbano escludere considerazioni di scuola e di cultura musicale superiore. L’adorazione verso il mistero supremo è, in questi canti di squisita fattura spirituale, di pura e semplice spontaneità. Le maggiori fonti sono state mia madre Angela Lopez ved. Giovine, Caterina Milella (casalinga), Maria Introino (una devota della chiesa di san Francesco) ed altre informatrici. I componimenti sono stati registrati tutti su nastro magnetico a disposizione dei fonetisti, dei folcloristi e di altri studiosi, nel caso dovessero richiederne l’ascolto. Là dove c’era la parte musicale, l’ho fatta riprodurre, affidando l’incarico al maestro Gioacchino Ligonzo, che ringrazio sentitamente per il disinteressato slancio con il quale accolse la mia richiesta. I canti Me corche, Ci iè e ci nonn- è, Madonne sono esempi tipici di creazione del popolano anonimo sui quali non vi possono essere dubbi di alcun genere. Si notino le ingenue e delicate immagini quasi infantili, schiette e nient’affatto ricercate. Ma il canto che merita di essere segnalato, perché dimenticato dagli studiosi, e me ne duole, è il canto popolarissimo Sanda Necòle va pe mmare: canto antico, ancora oggi diffuso fra il popolo e i pellegrini che lo cantano seguendo la processione del Santo. Omettere questo canto dalle raccolte folkloristiche, quando si vuol parlare di Bari o di san Nicola, è come voler rappresentare Napoli senza il Vesuvio o Pisa senza la sua torre pendente. Il canto di san Nicola avrebbe fatto felice il Fara, il quale (nella sua Anima Musicale d’Italia, pag. 135), lamenta, anche se qui non lo dice espressamente, ma lo afferma su Iapigia, la mancanza di collaborazione e di segnalazione dei miei conterranei.
Cosa che ritengo non si verificherà più in avvenire, grazie alla funzione dell’Archivio, che è a disposizione di tutti gli studiosi per fini esclusivamente idealistici, di studio e di divulgazione. A questi canti religiosi avrei dovuto far seguire le Ninne Nanne, che tanto sono affini con essi; ma sarei stato costretto a riportare i versi senza la musica, la quale presenta sempre per ogni raccoglitore difficoltà per le trascrizioni o per le riduzioni, che, per essere affidate a terzi, hanno sempre gestazione difficile perché questi non rispondono sempre con entusiasmo alla collaborazione richiesta. Perciò la pubblicazione delle Ninne Nanne la rimando a miglior momento, non volendo sacrificare niente dei bei motivi, che accompagnano questi canti accorati di mamme, scaturiti spontanei e candidi dall’animo popolare. E il lettore badi bene: sia negli altri canti religiosi che nelle Ninne Nanne baresi che seguiranno, eccetto La nàsscete e La Fangiullèzze de Sanda Necòle o qualche altro raro esemplare, coniati da poeti per il popolo, non c’è nulla di canto culto o di chiesa degradati, ma soltanto tersi canti popolari di prima mano, schietti e autentici.
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