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Civiltà musicale pugliese

Roberto Moranzoni di alfredo giovine

   Quando al Teatro Costanzi di Roma Pietro Mascagni affidò, nel 1900, alcune repliche de Le Maschere a un suo giovane allievo, nacque un altro valente direttore d’orchestra che doveva trascorrere gran parte della sua vita artistica negli Stati Uniti.

   Si tratta di Roberto Moranzoni nato a Bari, il 5 ottobre 1880.

   Figlio del maestro della banda militare del Corpo d’Armata di Bari, prese i primi insegnamenti musicali dal padre che lo affidò alle cure del geniale autore di Cavalleria Rusticana, allora autorevole direttore del Conservatorio di Musica G. Rossini di Pesaro. Le particolari attitudini musicali, la vocazione e la tenace applicazione gli consentirono di diplomarsi nel 1900 con il saggio Inno a Rossini.

   L’affermazione al Costanzi e l’autorevole avallo di Mascagni facilitarono il suo avvio alla carriera direttoriale per cui salì sul podio a L’Aquila (1902), a Milano al Dal Verme, a Savona, Zara, Venezia, Bassano e Firenze.

   Nel 1906 diresse la grande stagione lirica al Teatro dell’Opera di Bucarest, ove si esibì con successo la futura moglie Maria Camporelli di Novara (Jouvenot nella prima mondiale di Adriana Lecouvreur di Cilea al Lirico di Milano il 6 novembre 1902 insieme con Caruso). Fino al 1910 si fece apprezzare nelle maggiori città del nord portando al trionfo per la prima volta al Teatro Coccia di Novara Madama Butterfly. Raggiunto ormai un grado di stimata notorietà, venne ingaggiato per dirigere, il 12 novembre 1910, al The Boston Opera House, la Tosca con la Melis (diurna) e la Lucia di Lammermoor con la Lipskowska (serale) riscuotendo apprezzamenti notevolissimi. La Eaton dice che debuttò un giovane direttore d’orchestra italiano che ha ridato vita al repertorio internazionale.

   Confermato per sette anni a Boston diresse i più celebri nomi del tempo da Caruso a Zenatello, dalla Bori alla Destinn, dalla Tetrazzini alla Melba.

   Salito maggiormente nella scala della risonanza, il 12 novembre 1917, debuttava con Aida al Metropolitan di New York per rimanervi sino al 1924.

   Un numero considerevole di rappresentazioni con Gigli, Caruso, Martinelli, Bori, Tibett, Bjoerling, Muzio, Lazaro, Scialiapin ed altri in un vasto repertorio, nel quale emerge la prima mondiale del Trittico di Puccini rappresentato il 14 marzo 1918 per esplicita volontà dello squisito cantore di Suor Angelica.

   Il prestigioso avvenimento lo portò a dirigere in Europa e di nuovo negli Stati Uniti dove, per condizioni migliori, debuttò al Teatro di Chicago il 6 novembre 1924 con Tosca. Ma la nostalgia della patria lontana mai spenta in lui cominciò ad acuirsi per cui, dopo aver diretto l’Aida il 17 dicembre 1939, ai primi dell’anno successivo attraversò l’oceano e si stabilì a Milano ove cominciò a dare lezioni di canto. Soleva ricordare commosso e con le lacrime agli occhi quando Caruso nel 1918 al Met interrompeva le recite per cantare O Italia, o Italia del mio cuore, mentre dai palchi scendeva una pioggia di bandierine tricolori, oppure della recita di Pagliacci quando Ca­ruso si piegò su un fianco schiantato da una lancinante fitta, “per cui Moranzoni fu co­stretto a interrompere la rappresentazione che il grande tenore volle portare a termine un’ora dopo cantando la romanza finale con una maschera di dolore e reggendosi il fian­co con una mano”, come ebbe a dirmi la sua allieva Wanda Lazzarino di Milano.

   Un critico disse di lui: Finalmente abbiamo sentito il vero Puccini. Alla sua morte, avvenuta a Desio, il 10 dicembre 1959, Alceo Toni scrisse che aveva la dote rarissima dell’equilibrio, della misura. Sapeva essere interprete di eccezionale fervore e penetrazio­ne e non anteponeva mai se stesso al testo musicale.

   Forse per questo il critico musicale Parker si pose l’interrogativo “Roberto Moranzoni (…) a perfect Italien. Another Tosca­nini?”.

   C’è quanto basta per definirlo un eccezionale artista e un benemerito barese da onora­re degnamente. (riproduzione riservata – 1968)

 

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