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Bari

SUL “MONTE ROSSO” NON C’ERA IL SANTUARIO A S. ANTONIO ABATE

Recentemente, in una riunione presso la libreria Bari Ignota in via De Rossi, per parlare, tra appassionati di cose nostre, del “monte rosso”, argomento proposto da Piero Fabris; tra gli altri è intervenuta Federica Calabrese, archeologa subacquea, la quale ha reso testimonianza di una ricognizione effettuata insieme ad altri colleghi,su progetto tra Soprintendenza e Università di Bari, “il sistema portuale tra antichità e medioevo: archeologia subacquea e dei paesaggi costieri da Bari a Bisceglie”. Le indagini sono state condotte dall’equipe di esperti coordinata dal Prof. Giacomo Disantarosa dell’Uniba, nel 2018. In definitiva ha detto che in tale ricognizione sono state viste solamente alcune “pietre squadrate” poste in cima a quel promontorio e che, alla base e nelle vicinanze dello stesso, non sono stati rinvenuti reperti che potessero far pensare a manufatti o costruzioni. In pratica alcun santuario, convento, campanile, campane, ecc. Si è, praticamente, avuta conferma che niente di quanto si è sempre affermato, risponde allo stato attuale. Non si desidera cassare ogni forma di leggenda o mito, perché sono il sale della vita di ciascun popolo, ma, come spesso accade, la realtà è altra cosa. Tutto questo per riportare alla memoria, quanto, già nel 1964, Alfredo Giovine, aveva dedotto e scritto in una lettera alla Gazzetta del Mezzogiorno, del 23 dicembre 1964, che qui si riporta.

SUL “MONTE ROSSO” NON C’ERA IL SANTUARIO A S. ANTONIO ABATE di Alfredo Giovine
La discussione sulla Cappella del Torrione ha riportato d’attualità un tema di particolare interesse: quello del Monte Rosso. Un lettore ricordava che «quell’isola rigogliosa e santa, fu vittima del bradisismo e nel suo lento inabissamento furono salvate le reliquie della Chiesa e la sacra immagine di Sant’Antonio Abate. Tali reliquie furono amorevolmente sistemate nella cappella del Torrione, sotto il Fortino, il cui cortile unisce il lungomare Cristoforo Colombo con la Piazza Mercantile». Alfredo Giovine – come sempre attento lettore e documentato storico di cose baresi – ci ha scritto per chiarire il mistero del Monte Rosso, sul quale aggiunge «si sono sbizzarriti una decina di scrittori, i quali fanno all’incirca le stesse affermazioni della lettera citata».
“Altri – prosegue Giovine – dicono che nell’isola viveva un eremita e che la stessa fu inghiottita da terremoti e dalla furia del mare, contribuendo così a creare un alone di mistero”.
Giulio Petroni, nel volume 2° della sua Storia di Bari, rifacendosi alla deliberazione decurionale del 22 giugno del 1693, scrive: “Ripreso un po’ di lena la città, di essi con savio accorgimento a rendere utile uno scoglio sottomarino, il quale in alcune stagioni si mostra a for d’acqua, alla distanza di circa un miglio dal porto, e spezza la forza delle onde. Noi lo chiamiamo il «monte», e con mare tranquillo se ne veggono le antiche costruzioni, ma ci duole di non aver potuto trovare altra notizia delle opere fatte, salvo d’essersi costruito un piccolo molo, ed impiantatevi tre colonne da ormeggi; e poiché il governatore voleva innalzarvi un suo stemma con epigrafe, per richiami ottenne la città, che in nulla si intromettesse, e ciò che mai avesse fatto, disfacesselo”.
Il signor Giovine aggiunge che nella delibera, che egli non è riuscito a rintracciare perché «risulta per ora smarrita o fuori dal posto abituale di conservazione», si accenna a quelle nuove costruzioni con le parole «nuova insula» e «nuovo molo», e così, prosegue: Armando Perotti in Bari ignota, chiama il Monde Russe anche con il nome di pennite, facendo derivare quest’ultimo dal pendino citato da E. Mola nel Giornale Letterario di Napoli del 10 giugno 1796, quando tratta di quella secca, che le carte nautiche oggi denominano secca del monte. Il volgare pennite non è altro che un insieme di viluppi di piante algose che nascono e si sviluppano soltanto su un determinato fondo molle del mare che non sia né sabbia, né scoglio e né mugghie: limo, fanghiglia, che si disseminano a centinaia. Monde Russe non è altro che una sopraelevazione rocciosa del fondo marino in corrispondenza della quale l’acqua ha poca profondità, rappresentando così un pericolo per la navigazione. In altri termini è una secca di mq. 500 circa, sulla quale in passato vennero posti dei massi che formarono, come abbiamo letto innanzi, un isolotto artificiale al quale avrebbero attraccato i vascelli in quarantena o che non trovavano posto libero nel porto. Anticamente si chiamava «monde». «Russe» fu aggiunto per il solo fatto che in quel punto galleggiava un gavitello color rosso, per richiamare l’attenzione del navigante”.
La cartina fu realizzata nel 1888 dal Capitano di vascello G.B. Magnaghi con correzioni del 1896.
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